Bentornato, Raibaz
Ho di nuovo un blog personale.
Nel 2018? Srsly?
Srsly, come se fosse il 2008.
Perchè?
I motivi sono in realtà molteplici.
La goccia che ha fatto accendere la scintilla (fuckyeah modi di dire mischiati) è stata la scadenza del mio dominio storico, quello che ormai tenevo giusto perchè ci ero affezionato e perchè in fondo che vuoi che siano dieci dollari l’anno, raibaz.com.
È scaduto in giugno e per via di una serie di sbattimenti di burocrazia bizantina non sono riuscito a rinnovarlo né a ricomprarlo, quindi adesso giace nel mare dei domini che salcazzo di chi siano e chissà mai se tornerà libero; d’altronde, direte voi, mica lavori sull’internet e fai cose da nerd, è normale che tu non sia in grado di rinnovare un dominio, e poi che azienda di cialtroni è quella da cui l’avevi comprato in origine e da cui non riesci a rinnovarlo?
Beffa delle beffe, l’azienda suddetta è quella per cui lavoro da circa due mesi dopo la scadenza del dominio suddetto, che nei dieci anni e più che sono trascorsi da quando in due click e dieci dollari sono diventato il titolare di raibaz.com ha cambiato centosedici volte la procedura per il rinnovo e che non gestisce più tanto bene i domini così vecchi, per cui il massimo di supporto che sono riuscito a ottenere è stato “rivolgiti a Godaddy, che i domini all’epoca ce li vendevano loro”, e di Godaddy posso parlare male tranquillamente, e legittimamente, dato che è abbastanza notorio che Godaddy sia lammerda e che non è il mio attuale datore di lavoro.
Sollievo, ma intanto secondo Godaddy se rivoglio il mio dominio storico, a cui credo sinceramente nessun altro al mondo sia interessato e al quale ero tutto sommato affezionato, vuole una discreta quantità di soldi, per cui tante grazie ma ho preferito darne una parte infinitesima a OVH e comprare lo stesso dominio .it, che è giustappunto quello che ospita queste paggine oggi.
A dirla tutta, peraltro, comprare lo stesso dominio ma con il TLD del mio paese di origine, ora che nel mio paese di origine non ci vivo più, ha anche una sua valenza emotiva, quindi in fondo, come si suol dire, sticazzi di godaddy, sticazzi del .com.
Avevo anche pensato di scrivere in inglese per fare pratica, ma il .co.uk costava troppo di più del .it e so che dover scrivere in una lingua che, per quanto la mastichi e la parli quotidianamente, non è comunque la mia, sarebbe stata una fonte di attrito eccessiva per farmi aver voglia di scrivere anche tra una-due-tre-quattro settimane (cosa su cui comunque non so quanto poter fare affidamento, ora).
Ok, quindi, ti sei comprato un dominio simile a quello che ospitava il tuo vecchio blog, ormai legittimamente defunto da anni e di cui forse non c’era tutto questo bisogno, se è vero che da più di cinque anni i tuoi scritti vivevano tranquillamente su quell’altro sito che tante soddisfazioni ti ha dato e ti dà, quando si parla di musica, e sul vasto e variegato mondo dei social media quando si parla di qualunque altra cosa: chi te lo fa fare di rimettere in piedi un blog, ora che i blog non se li caga più davvero nessuno e che il mondo sembra essere andato oltre?
Tutto sommato, no: in questo preciso momento della mia vita sento il bisogno di rimettermi a scrivere cose un po’ più lunghe e articolate degli stati di Facebook: scrivere ha, e ha sempre avuto, in qualche modo un valore terapeutico per me, è un’attività che mi riesce sufficientemente spontanea da non stancarmi ma che al tempo stesso richiede abbastanza concentrazione e focus da aiutarmi a entrare in uno stato di “flow” (dai lo so che sapete cos’è, non sto a linkarvi quel tizio col nome complicatissimo) che, una volta finito, mi fa sentire produttivo e gratificato.
E poi, diciamoci la verità: Medium mi sta sul cazzo, filosoficamente parlando, e ho tempo libero a sufficienza per prendermi cura di un progetto più impegnativo (si fa per dire, dai) come la gestione di un blog intero, e la voglia di fare quegli sbattimenti gestionali che, esattamente come la scrittura, sono abbastanza semplici ma abbastanza impegnativi da darmi quella gratificazione low-effort che, in fondo, male non fa.
E ancora: se una delle migliore penne che conosco, uno che più di una volta mi ha fatto dire “cazzo, quanto vorrei saper scrivere come lui”, si è aperto un blog personale da poco, chi sono io per essere da meno?
Ok, ma quindi cosa ci scrivi qui? Devo seguirlo? È roba che mi interessa?
E che ne so.
Ho già in mente due-tre-quattro post che scriverò appena mi salirà l’ispirazione, ma da lì in poi, come è giusto e inevitabile che sia, improvviserò: certo, l’avventura di vita in solitaria all’estero in cui mi sono infilato è una fonte di aneddoti, storie e pensieri interessanti già di per sé, ma non mi aspetto certo un Pulitzer o anche solo del seguito da parte della gente con cui ho contatti sull’Internet. È una cosa che faccio per me, perché mi va di farlo, perché mi fa bene, mi gratifica, e sì in questo momento ho un discreto bisogno di gratificazione e di imparare trovarla da solo, dentro di me, che in fondo è l’unica gratificazione che funziona davvero.
Non sono più neanche lontanamente quello che ero quando scrivevo su quell’altro blog praticamente tutti i giorni, sono passati anni, sono cambiate molte cose dentro e attorno a me, ma ci sono anche diverse cose di me che sono rimaste uguali e che probabilmente resteranno uguali per sempre: io scrivo, e questa è una di quelle.
Bentornato a quel me che non se ne era davvero mai andato, quindi.