Singapore, vado a Singapore

Inizio estate, metà giugno o giù di lì.

Ho appena accettato un’offerta di lavoro che mi porterà a cambiare vita, casa, nazione e un sacco di altre cose, ma non ho ancora iniziato, inizierò dopo metà agosto, per cui è un periodo in cui ho poco altro da fare che pensare a come sarà la mia vita oltremanica senza poter fare niente di concreto in merito e immaginare il mio nuovo lavoro.

Sporadicamente sento per email il mio futuro manager per organizzare i dettagli del mio inizio, e a un certo punto lui mi dice “senti, in ottobre tutto il team si trova a Singapore, tu vieni vero?”

E come fai a dirgli di no.

Uno dei miei primi task del lavoro nuovo, quindi, è stato organizzarmi un viaggio quasi dall’altra parte del mondo a spese della mia nuova azienda: diciamo che ho visto inizi peggiori.

Ma com’è Singapore, si chiederanno i miei affezionati lettori?

Meh.

Certo, ha i suoi landmark assolutamente ragguardevoli e qualche paesaggio da cartolina, non si può negarlo:

Ed è vero anche che in una settimana scarsa in cui per la maggior parte del tempo ho lavorato o sono comunque stato in ufficio è difficile farsi un’idea completa e comprensiva di un posto, pero, ecco, meh.

Partiamo da un presupposto molto semplice: sono un ciccione metereopatico, per cui se il clima tutto l’anno è il caldo umidissimo tropicale con un sacco di nuvole, pochissimo sole e un paio d’ore di temporale al giorno già partiamo col piede sbagliato, molto sbagliato, ma fortunatamente il singaporese questa cosa la sa e in effetti i luoghi senza aria condizionata sparata a missile o altri orpelli moderni per sopravvivere alla caldazza mortale sono davvero pochi, ma quando sei esposto al clima locale l’unico pensiero che riesci a formulare è “quando cazzo si riparte?”.

Ed è un peccato, tutto sommato, perché l’idea di un posto che faccia da versione semplificata di un po’ tutta l’Asia, mischiando in un calderone casuale pezzi di Cina, Giappone, Thailandia e sudest asiatico assortito senza, o quasi, barriera linguistica (la definizione perfetta di Singapore me l’ha data una mia collega, descrivendola come “it’s like all of Asia summarized and condensed in a single place, and in English”) non è affatto male, anzi: andare a piedi da Chinatown a Little India o scegliere tra ramen e pad thai nel giro di qualche metro sapendo che potrai farti capire senza troppa fatica non è affatto male, ma.

Ma, come tutti i posti che cercano di mettere assieme tante, troppe culture diverse e renderle accessibili ai tanti, troppi forestieri, il rischio inevitabile è quello di perdere la propria identità.

Singapore, storicamente, è sempre stata un porto, un crocevia e un hub, dove passavano persone dalle provenienze e dalle origini più disparate, e questo ha fatto sì che il singaporese, di fatto, non esista.

Complice anche una certa posticcità dei monumenti e uno sviluppo assolutamente frenetico negli ultimi anni, tipo che la maggior parte delle attrazioni turistiche e delle cose da vedere stanno su un pezzo di terra artificiale che è stato reclaimed negli anni ottanta, la sensazione è un po’ quella che si ha in posti tipo Las Vegas o Dubai: c’è tanto, troppo di tutto, e nulla di autentico, è tutto messo lì artificialmente in funzione dei turisti, o dei businessmen di passaggio, per rendere loro la vita più semplice.

All’inizio sembra anche bello, riuscire a orientarsi in un posto quasi agli antipodi senza alcuna fatica, ma poi ti ritrovi ancora più disorientato, perché non c’è modo di uscire dal tunnel di esperienze preconfezionate a misura di straniero e uguali per tutti.

Intendiamoci: i Gardens By The Bay sono uno dei giardini botanici più belli al mondo, il Marina Bay Sands è una vista incredibile, l’acquario è splendido (nota peraltro come le attrazioni principali siano tutti posti al chiuso, causa clima), prese singolarmente si tratta di esperienze assolutamente impeccabili, è il complesso che stona, che è troppo pulito, troppo artefatto per essere vero, per essere godibile.

Nei Gardens By The Bay ci sono queste sculture incredibili fatte di pezzi di legno recuperati dal mare

Insomma, è così tanto una merda?

No, ho visto posti moooolto peggiori, ovviamente, ma se non avessi lavorato una settimana da turista sarebbe stata assolutamene troppo: c’è da dire che proprio per la sua natura di hub che mantiene tuttora, visto che è uno degli snodi aeroportuali principali del sudest asiatico, cade alla perfezione come tappa di un paio di giorni in un viaggio da quelle parti, che è il massimo che mi sento di consigliare a chi stesse pensando di andarci.