Brian Keane – The Fitness Mindset

Uno dei benefit che più apprezzo, se non il migliore in assoluto, del mio lavoro nuovo, non è tanto il cibo gratis a volontà, o la birra il venerdì pomeriggio, ma è la quantità enorme di persone interessanti con cui si riesce a entrare in contatto anche solo andando in ufficio: questo vale ovviamente per i colleghi, che spesso sono autentiche leggende del proprio mestiere (per dire, nel mio ufficio lavora Jon Skeet, e Jake Archibald fino a poco fa era letteralmente seduto due scrivanie dietro la mia), ma non solo.

Il benefit migliore di tutti, infatti, è la quantità spropositata di presentazioni di persone esterne che vengono in ufficio a parlare degli argomenti più disparati: solo nel mio ufficio c’è, mediamente, almeno un paio di talk alla settimana sulla qualunque, molti dei quali poi vengono pubblicati sul meraviglioso canale Youtube di Talks@Google, che raccoglie i più interessanti di tutti gli uffici.

Spesso e volentieri i talk sono tematici, come quando la settimana di Halloween c’è stato un talk a tema horror (di cui parlerò più diffusamente in un’altra puntata perché merita un post a sè), o vengono raggruppati per argomento: ottobre, ad esempio, era “Security and Privacy month”, e sempre in ottobre c’è stata la “EMEA mental health conference”, che in un giorno solo ha raccolto una decina di interventi a tema, appunto, salute mentale, che è un tema di cui si parla sempre di più e sempre troppo poco e che, fortunatamente, al mio datore di lavoro sembra stare piuttosto a cuore.

Purtroppo non sono riuscito a seguire tutti i talk in diretta, perché ogni tanto lavoro anche, ma fortunatamente sono riuscito a vedere in differita quello di Brian Keane, che mi ha colpito molto perché raccontava sostanzialmente la seconda metà del suo libro, “The Fitness Mindset”, che parla di come l’allenamento e lo sport influiscano a breve, medio e lungo termine sulla salute mentale.

Niente di nuovo né rocket science, intendiamoci, penso che chiunque al mondo conosca bene la sensazione di benessere che si prova dopo un’ora di sport e i giorni successivi, quando i muscoli stimolati fanno male: di quello che il buon Brian ha detto durante il suo talk, però, invero non devastantemente rivoluzionario, mi è rimasta impressa l’idea che allenarsi, se non tutti i giorni, di frequente, ha un grosso beneficio a lungo termine sulla mente.

Non si tratta solo di usare l’allenamento come una forma di meditazione (altro tema su cui scriverò più a fondo prossimamente), approfittando della mezz’ora-quaranta minuti-un’ora di allenamento per svuotare la testa dai pensieri facendo qualcosa che richieda concentrazione; questo vale per tutti gli hobbies, io stesso ho usato spesso la musica o la cucina in questo modo, ma l’allenamento costante ha un beneficio molto più importante.

Diciamoci la verità, allenarsi con costanza è una bella rottura di cazzo: lo racconta bene il mio amico che ha iniziato ad andare a correre tutti i giorni ed è finito da essere un sallucchione a fare le mezze maratone, la maggior parte delle volte cambiarsi e uscire a correre, o andare in palestra, o comunque fare lo sforzo di andare ad allenarsi non è per niente spontaneo, anzi, bisogna prendere la forza di volontà a due mani e costringersi ad andare: ecco, l’impatto più importante sulla mente è proprio quello, molto più dell’allenamento in sé o della meditazione.

È allenare la propria mente a resistere al desiderio immediato, alla gratificazione facile, alla comfort zone, che poi fa la differenza: non è tanto questione di spaccarsi di sudore per avere la tartaruga, o anche solo per evitare di essere un ciccione a quarant’anni e ridurre il rischio di fare una finaccia prematuramente, che pure sono cose assolutamente desiderabili, è più esercitarsi a dirsi “non ne ho un cazzo voglia ma lo faccio lo stesso”, che, a detta di Brian, è quello che distingue l’adolescente dall’adulto e che rende in grado di poter puntare a obiettivi più grandi e nobili della serata divano-birra-Playstation, o almeno di puntare alla serata divano-birra-Playstation dopo l’allenamento.

Intendiamoci: non è che aver sentito dire tutto ciò a un tizio belloccio sul palco di una conferenza mi abbia cambiato la vita, non è esattamente qualcosa che non avessi mai sentito o che non immaginassi già in qualche angolo recondito della mente, ma sentirselo dire “in plain English” ha fatto una discreta differenza, soprattutto per uno che ha storicamente sempre il problema di sentire il bisogno di diventare qualcosa di meglio e che si incazza a morte, a posteriori, quando cede alla gratificazione immediata e alla comfort zone.

Insomma, intanto inizio ad andare in palestra tutti i giorni infrasettimanali in cui non prendo aerei, cercando di estendere anche agli altri giorni, e ho un altro progetto in questo ambito di cui racconterò prossimamente (terzo teaser in un post solo, neanche Lost creava così tanta suspence), poi si vedrà.