Non mi è ancora passata
È passato più di un mese ormai da quando è finita, ma l’ultima stagione di Mr. Robot ce l’ho ancora attaccata addosso.
La cinematografia clamorosa, i dettagli che ti fanno capire che Esmail aveva tutto in mente fin dall’inizio, le performance INCREDIBILI di praticamente tutti gli attori coinvolti, dai protagonisti all’ultimo dei comprimari, la colonna sonora perfetta e quel monologo devastante alla fine:
(No spoiler, non temete)
This whole time I thought changing the world was something you did. An act you performed, something you fought for, I don’t know if that’s true anymore, or if changing the world was just about being here. By showing up, no matter how many times we get told we don’t belong. By staying true even when we’re shamed into being false. By believing in ourselves, even when we are told we’re too different. And if we all held onto that. If we refused to budge and fall in line. If we stood our ground for long enough, just maybe, the world can’t help but change around us. Even though we’ll be gone, its like Mr Robot said we’ll always be a part of Elliot Alderson. And we’ll be the best part, because we’re the part that always showed up. We’re the part that stayed. We’re the part that changed him. And who wouldn’t be proud of that?
Non c’è nessun mondo possibile in cui, con il One World Trade Center così evidente in lontananza, le due righe verticali dell’intelaiatura della finestra sono lì per caso.
La puntata senza dialoghi, quella nel bosco, quella sitcom con Alf, la cover al piano di “Where Is My Mind” e allora è come Fight club ma non è come Fight club, la maschera di V che però non è una maschera di V, “Turn Up The Radio” degli OK Go, le tracce di M83, “Touch” dei Daft Punk e “Under The Tide” dei Chvrches prima che i Chvrches li scoprisse Kojima, gli Afterhours, la scena del matrimonio, le uscite di scena incredibili di tutti i personaggi che muoiono e il senso di conclusione e completezza per tutti, quelli che muoiono, quelli che no e quelli che non ci sono mai stati davvero.
Le punchline incredibili, su tutte “Don’t mistake my generosity…for generosity”, detta da un personaggio che fa dei mistake sulla propria identità la propria cifra stilistica, i monologhi di Elliot, i “kiddo” di Christian Slater, la parte informatica tutto sommato credibile ma mai superficiale, le bestemmie che mi fa tirare l’idea che ci sia qualcuno di voi che ancora non l’ha vista.
Che cazzo aspettate.