Stare a casa, nella casa interiore
Non serve che faccia grossi preamboli, immagino sappiate tutti che in questi giorni si sta chiusi in casa per via della pandemia di COVID-19, con tutti gli effetti collaterali che la cosa comporta.
Mi è capitato spesso, nell’ultimo paio d’anni che ne è durati almeno quindici e in cui ho cambiato quattro case e sono stato ai quattro angoli del mondo, di interrogarmi su cosa sia una casa, e adesso che dobbiamo starci tutti, qualunque cosa essa sia, è un buon momento per riflettere su cosa questo significhi e cosa comporti.
Dover stare a casa per via di una pandemia, infatti, non significa soltanto “dover stare a casa per via di una pandemia”, ma ha una miriade di significati collaterali e solo in apparenza secondari: immagino vi sarete accorti anche voi, miei affezionati lettori, per dire, che nonostante i contatti personali ridotti ai minimi termini, ultimamente il clima è piuttosto, come dire, frizzantino.
Un esempio: l’altro giorno, subito dopo uno degli svariati decreti restrittivi del presidente del consiglio pubblicati in sequenza, mentre lavoro da casa noto che ci sono dei bambini che vanno in bici nel cortile fuori dalle mie finestre, e quando poi esco a prendere un po’ d’aria anch’io, su tutti i portoni delle scale attorno alla mia trovo questo:
E non è assolutamente un caso isolato: in diversi gruppi Whatsapp e Facebook e altrove dai quali avrei dovuto fuggire settimane fa è capitato più volte di sentir dire (o legger scrivere, ok) cose come “chi abita vicino a un parco ha il dovere morale di sparare dalla finestra a chiunque veda fuori di casa”, invocazioni alla dittatura, richieste di pena capitale per chi piscia il cane e sicuramente anche voi avrete esempi a profusione.
In due anni di terapia, però, ho imparato che la maggior parte delle volte quello che dicono le persone non corrisponde esattamente alle parole che dicono, ma piuttosto le parole che dicono sono la manifestazione di uno stato d’animo, che però esce mediato da una serie di bias inconsapevoli, piloti automatici e cortocircuiti mentali inevitabili, che tutti abbiamo, e che però fanno sì che il pensiero “cazzo ho una paura fottuta non so cosa devo fare e non ci sto capendo niente” venga verbalizzato in tutt’altro modo, come una richiesta di legge marziale, insulti verso chi esce di casa e magari non può farne a meno o sa dio che altra bestialità.
Io ho avuto la fortuna di poterci (e doverci) lavorare a lungo nell’ultimo paio d’anni, ma secondo me tutto il tempo di ozio a cui la quarantena ci sta obbligando è un’ottima occasione per guardare a com’è fatta la casa che abbiamo dentro, che ci siamo costruiti negli anni, fatta di meccanismi inconsci per cui, di fronte a uno stress, reagiamo automaticamente con la parte più animalesca del cervello, con quella che persone più esperte di me chiamano fight or flight response, e visto che di vie di fuga non ce ne sono poi molte, ecco quindi spiegato il clima particolarmente aggressivo in cui realisticamente siete immersi in questi giorni.
E se invece, visto che non avete un cazzo da fare e anzi avete il problema di trovare come impiegare le giornate, vi prendeste un minuto, dieci minuti, venti minuti, il tempo che volete, per osservare con più attenzione com’è fatta, la casa in cui abitano sempre i vostri pensieri, quella da cui davvero non potete uscire mai e che vi siete arredati con cura in anni e anni di storia individuale?
Io ho imparato a conoscere molto meglio la mia, e non dico che mi piaccia (anzi), ma ci sono sceso a patti moltissimo, e soprattutto ho imparato a mettere un po’ di distanza e di tempo in quel cortocircuito che passa tra “sono davvero confuso questa situazione mi stressa perché non mi è mai capitata e no so cosa fare” e “VAFFANCULO TUTTI CHE CAZZO USCITE DI CASA CHE BISOGNA STARE SEGREGATI VI AMMAZZO MERDE”, abbastanza da rendermi conto che la seconda frase non è esattamente quello che voglio dire, lasciarla passare e invece scrivere un pippone sul mio blog.
Ci sono mille modi e mille risorse per imparare a guardare com’è fatta la propria casa interiore: ci sono vagonate di libri (a me piace molto questo, perché è molto legato al mio ex datore di lavoro e molto grounded in science, come dicono quelli bravi), video (stesso tizio del libro che ne parla, appunto, negli uffici del nostro ex datore di lavoro in comune, qui), risorse, pratiche e strumenti (io sono un grande appassionato di Headspace, ma anche Calm mi dicono essere molto figa e ha un album di Moby uscito solo lì).
Insomma, è facile che non abbiate niente di meglio da fare: tanto vale darci un’occhiata, io un po’ di punti di ingresso ve li ho dati, e magari alla fine queste settimane di clausura forzata sono un ottimo pretesto per alzare il livello di consapevolezza di come funzioniamo.