È tempo di bilanci di fine anno, quel momento dell’anno in cui tutti perderanno 30kg l’anno prossimo, leggeranno 500 libri e altre cose più generiche tipo “starò più attento a quello che mangio” o “la pace nel mondo”, ma anche quel momento in cui ci si guarda un attimo indietro e ci si dice cos’è andato bene e cosa no.
Cosa non sia andato bene nel mondo credo non serva che stia a spiegarlo: il punto di questo post, invece, è prendere atto, e forse anche un po’ bullarmi, di una cosa che sono davvero molto orgoglioso di aver fatto lungo tutto il duemilaventi:
Dal primo gennaio a oggi, ogni giorno, nessuno escluso, ho aperto Headspace sul telefono e mi sono preso una quantità di minuti variabile, da tre a venti, in cui non fare niente se non stare lì, fermo, al massimo contando i respiri, lasciando i pensieri andare e venire e accettando che andassero e venissero, perché è quello che fanno, anche se spesso non sembra.
Uso Headspace da tanto, mi ci trovo benone e probabilmente avrei sbloccato l’achievement dei trecentosessantacinque giorni consecutivi di pratica già nel 2018 se un viaggio a Sydney con conseguente balletto di fusi orari non mi avesse completamente sminchiato la routine:
Ma chi cazzo te lo fa fare, Raibaz? E cosa ci guadagni?
Innanzitutto, nel 2018 suddetto, in cui, tra il periodo londinese e una serie di altre vicissitudini, non ero proprio nella miglior condizione emotiva possibile, praticare ogni giorno è stata una delle cose che mi hanno letteralmente salvato la vita, ricordandomi ogni giorno che valevo la pena di regalarmi X minuti in cui prendermi cura di me, che non l’avrebbe fatto nessun altro se non lo facevo io, e allenando il succitato muscolo che sa che i pensieri che passano non necessariamente corrispondono alla realtà.
E già così sarebbe molto, ma col tempo ho scoperto che prendersi del tempo tutti i giorni in cui stare fermi ha una serie di effetti collaterali tutt’altro che banali:
- Fatto la mattina, mi aiuta tantissimo a focalizzare quali sono le cose importanti da fare durante la giornata e a sgonfiare le preoccupazioni che a volte mi assaltano appena sveglio
- Fatto la sera, mi aiuta a ridimensionare e mettere nella giusta prospettiva le cose che sono successe durante il giorno appena trascorso
- Mi aiuta a ricordarmi tutti i giorni che vale la pena farsi un regalo di quelli che fanno bene
- In generale, ed è un tema di cui le guide di Headspace parlano diffusamente, mi aiuta a mettere tra me e l’andirivieni dei pensieri quel po’ di spazio che basta per rendermi conto che quello che mi passa per la testa non è sempre tutta la realtà, e anzi, spesso non c’entra niente, per via del filtro che ognuno di noi ci mette davanti
- Fatto quotidianamente, grazie anche a Headspace che ti dice ogni volta quanti minuti consecutivi e quanti giorni consecutivi hai praticato, aiuta a ricordare che le cose grosse si fanno un pezzo piccolo per volta
Quest’ultimo punto, di cui tra l’altro parla anche l’ottimo Ryan Holiday qui, è uno di quelli che hanno avuto più effetti concreti sulla mia vita quotidiana, riguardando indietro al mio 2020: è facile ripetersi a parole la solita storia di apprezzare le piccole cose blablabla, ma quando vedi davvero che, un giorno per volta, cinque, dieci, anche solo tre minuti per volta, sei arrivato a novanta, poi a centoventi, poi a centottanta, e ora a trecentosessantatre giorni consecutivi, diventa più facile dirsi “dai ho un quarto d’ora che mi avanza, figata, posso buttarci dentro un allenamento in più”, o “se organizzo bene la giornata riesco a incastrarci un’oretta per fare una corsa in più”, o anche “ho già mangiato abbastanza, non mi scasso anche una merendina dopo cena per stavolta”.
E l’altro effetto collaterale gigante di tutto questo è che, ovviamente, di trecentosessantatre giorni consecutivi una parte non banale non è perfetta: ci sono i giorni in cui a metà dei venti minuti hai quella sensazione di calma e lucidità meravigliosa, in cui stai come Neo quando vede Matrix e hai l’energia per scalare le montagne, i pensieri negativi si sgonfiano e le caprette ti fanno ciao, e poi ci sono gli altri giorni.
Quelli in cui ti addormenti secco durante la pratica e la voce di Andy alla fine ti tira su da un baratro di sonno, quelli in cui venti minuti non passano mai, quelli in cui hai un turbinio di pensieri così furibondo che passano i venti minuti e non hai neanche ascoltato un respiro, quelli in cui, addirittura, apri Headspace giusto perché devi e speri che i tre minuti che fai giusto per mettere la crocetta passino in fretta, quasi non facendoci caso.
E però, intanto, lo fai lo stesso.
Perché, come effetto collaterale di tutto questo, impari ad accettare le volte in cui le cose non vanno come dovrebbero, perché hai le palle girate, perché hai dormito male, perché hai un sacco di cose da fare, perché hai preferito giocare col Filo tutto il giorno, magari perché c’è una pandemia e tutti i piani per il duemilaventi sono andati a puttane, e a mettertele alle spalle, perché un pezzo per volta hai imparato che il momento che conta davvero, quello in cui puoi fare qualcosa perché le cose vadano meglio, è questo. E questo. E questo. E questo.
E questa cosa, per uno che di errori ne ha fatti tanti, anche grossi, e ha una discreta tendenza a fustigarcisi continuamente, è potentissima.
Insomma, è stato un anno di merda per mille motivi diversi, lo sappiamo tutti, ma tra tante cose difficili, io di questa sono davvero orgoglioso, ed è una di quelle cose che credo faccia bene a chiunque almeno provare: l’ho consigliata a diversi amici negli anni, con risultati alterni, ma anche nel peggiore dei casi è qualcosa che ti dice un po’ di più su come funzioni e su cosa ti fa stare meglio o peggio.
Da dove si inizia, allora?
Io ho iniziato con Headspace, che è una delle applicazioni più famose sul tema e di cui, tra l’altro, domani esce una serie su Netflix, ma se la barriera linguistica vi spaventa Insight Timer ha una serie di meditazioni guidate dal mio maestro Jedi e terapista, sulla cui bravura quindi posso mettere entrambe le mani e i piedi sul fuoco.
In alternativa, un libro che mi piace molto sull’argomento è questo, che è un po’ il companion text di un seminario bellissimo di due giorni organizzato dal mio ex datore di lavoro.
La cosa bella di tutto ciò, poi, è che ho davvero la sensazione di aver solo scalfito la superficie di questa roba di praticare qualcosa tutti i giorni, per cui non vedo l’ora di continuare anche nel duemilaventuno.